mercoledì 8 gennaio 2014

Posidonia oceanica a Vada




Che fare per festeggiare un capodanno da godimundi? C’è un bel concerto a Firenze, o un cenone in montagna con gli amici… certo il meteo promette qualche giorno di tempo sereno. Beh, allora si va al mare!

Partiamo da Pontedera in un pomeriggio indorato dal tiepido sole invernale.



Il tandem è carico – abbiamo con noi l’occorrente per il campeggio e vettovaglie in abbondanza –, ma si pedala veloci e leggeri attraverso le tranquille strade provinciali che si dirigono verso la costa, accompagnati dalla vista delle alpi apuane svettanti in lontananza nell'aria tersa di dicembre. Sfrecciamo tra desolate aree industriali e impianti per la viticoltura animate da qualche contadino intento alla potatura, percorrendo il lembo meridionale della piana del Valdarno inferiore che s’incunea tra i monti livornesi e le colline pisane.

La costa ci accoglie con lo spettacolo deprimente delle ciminiere fumanti di Rosignano Solvay; per consolarci ci mangiamo un caco raccolto nella cittadella abbarbicata sotto il castello di Rosignano.




Il tramonto incombe quando arriviamo a Vada. Decidiamo così di deviare sul primo lido fuori dal paese per godere le luci vermiglie del crepuscolo, che trafiggono l’orizzonte ingombro di nembi violacei spegnendosi in bagliori purpurei sulla superficie buia e immota del mare. La spiaggia è accogliente, senza luci né vento, ricoperta da dune striate di posidonia su cui la risacca s’infrange in una dolce nenia cullante. Troviamo subito una piattaforma di legno dove accamparci. È il posto perfetto dove lasciare la tenda anche domani ed esplorare la zona in tutta leggerezza.

Sulla spiaggia è affisso un cartello informativo sulla posidonia oceanica, la pianta subacquea, endemica del Mediterraneo, che cresce nei fondali costieri in lussureggianti praterie, habitat ideali di numerose nicchie ecologiche, vere e proprie fabbriche di ossigeno e indice sicuro di alta qualità ambientale. D’autunno e inverno la posidonia perde le foglie, che vanno a depositarsi sulla battigia in banchi nerastri e mollicci. Questi resti, oltre a svolgere la funzione di proteggere la costa dall’erosione, sono stati utilizzati fin dall’antichità come risorsa versatile ed economica in vari esempi di riciclo e simbiosi dell’uomo con il proprio territorio.


Le foglie secche di posidonia sono state usate a lungo per l’imbottitura di materassi e cuscini; come materiale edile nella costruzione e l’isolamento di tetti e murature; per produrre carta, fibra tessile e feltro; in agricoltura per fertilizzare, pacciamare e arricchire di oligominerali il compost e il foraggio. I vetrai veneziani vi imballavano la loro arte delicata e famosa, tanto che questo materiale era conosciuto con il nome di “paglia di Venezia”. Per la durabilità nel tempo, l’alto potere termoisolante, la resistenza al fuoco, l’inattaccabilità da parte di muffe e parassiti (dovuta all’alto tasso di salinità) e la completa atossicità, la posidonia è stata recentemente rivalutata come risorsa di pregio nel campo dell’edilizia eco-sostenibile. Sono inoltre nati progetti di gestione sostenibile che promuovono il recupero della posidonia arenata per il compostaggio, per la produzione di biogas e per la protezione o ricostituzione degli ecosistemi dunali costieri.
Per saperne di più:

-          - Un articolo esaustivo sulla questione della posidonia spiaggiata:

-          - Una rassegna di casi esemplari di utilizzo della posidonia nell’edilizia sostenibile:

-          - Una ricerca approfondita sulla presenza e la gestione di banchi di posidonia in Italia:

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